BIOGRAFIA

 
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Siciliano di origine e romano d’adozione, nasce ad Alcamo nel 1963 e si trasferisce da giovanissimo a Roma, dove consegue la maturità presso il Liceo Artistico Statale; qui fu allievo di Mino della Site, aeropittore leccese particolarmente stimato da Marinetti. Dopo aver frequentato corsi di incisione, modellato e scultura, lascia il Paese soggiornando a Monaco di Baviera, per poi trasferirsi nella “grande mela”, dove entra in contatto con gli ambienti artistici della New York anni’80. Rientrato in Italia, con un bagaglio carico di suggestioni pronte a nutrire la propria ricerca, Bongiorno plasma il suo personalissimo linguaggio pittorico che si avvale dell’uso di materiali desueti – carbone, colla e cenere – una ricerca formale riconducibile, per certi versi, all’esperienza poverista sviluppatasi in Italia a partire dal ’67. Le scelte iconografiche – il Colosseo, la lupa, l’aquila, l’Italia – rivelano un prelievo, più o meno intensionale, dal repertorio iconico degli artisti della Scuola romana di Piazza del Popolo, Franco Angeli e Renato Mambor in particolare. Una ricerca, quella di Bongiorno, animata dalla denuncia al “sintetismo della vita” – per usare la definizione dell’artista – ovvero la frenesia che caratterizza la contemporaneità, la crisi dei valori e la prevalenza di una futilità che distoglie l’attenzione da ciò che davvero conta nell’esistenza di un individuo.
L’Arte è tutto quello che ci circonda in questo mondo, dalla prima luce fino all’inizio dell’intenso buio.“ 

Con queste parole l’artista Vito Bongiorno esprime la sua visione dell’arte e della vita. Bongiorno è ormai uno dei protagonisti più rappresentativi dell’arte contemporanea italiana, noto per l’utilizzo del carbone e della cenere come simbolo dell’inquinamento, della malattia e della spaccatura che caratterizzano l’Umanità. Una delle sue più famose opere dal titolo Terzo Millennio, eseguita nel 2013 e che sembrerebbe una premonizione della pandemia, ha gettato un grande faro su di lui.  

Vito Bongiorno è l’autore di una pittura di carbone carica di rimandi ambivalenti.
La negazione del colore è il buio – sintomo dell’abisso nel quale gli individui sono sprofondati, travolti da una crisi valoriale, culturale e di conseguenza ambientale che annerisce il pianeta – ma al tempo stesso è luce, il carbone contiene una scintilla di vita, un’energia indispensabile per innescare un processo di rinascita.
I paesaggi dell’artista prendono vita dalle sottostanti ceneri, risorgono come l’araba fenice dai residui di un passato che li ha resi aridi di idee e sterili di sentimenti.
Sono immagini transitorie, opere in divenire che fotografano una rinascita.
L’Europa liquefatta, un’Italia frammentata, singole regioni smembrate, riflettono una verità indigesta che l’artista urla a gran voce ad una società bendata da un individualismo sterile.
Paesaggi brulli, privi di vegetazione, anneriti dallo smog, impregnati di petrolio; paesaggi quasi spettrali, desolati, abbandonati da individui troppo dediti all’egoismo.
Negatagli la luce, il blu oltremare che colora il corpo di donna portatrice di fertilità e quindi di nascita, o meglio di rinascita, irradia le sterili mappe di carbone per restituirgli la vita.